[Tesina maturità] Gabriele D’Annunzio e la guerra

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CAT_IMG Posted on 28/5/2011, 13:23     +1   -1
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Tesina per il colloquio all’esame di stato

INDICE

Il Decadentismo.
D’Annunzio: Vita, opere
I romanzi del Superuomo
Personalità e talento
L’estetismo e il tema del superuomo
Nietzsche: Vita;
pensiero
L’interpretazione politica del Superuomo
Come Gabriele D’Annunzio fraintese Nietzsche
Il superuomo ingloba in sé l’esteta
La visione politica dell’intellettuale
Il superuomo e il nazismo
Nietzsche nazista?
Le forzate attuazioni politiche del Superomismo:
Fascismo e Nazismo
Lo statuto sotto il regime fascista
L’attività normativa del governo
L’Italia verso la guerra
L’inizio della guerra
L’armistizio
L’eccidio di Cefalonia
1984 di George Orwell
Bibliografia

IL DECADENTISMO

Con il termine Decadentismo si indica la corrente culturale che segna un periodo di profonda crisi della società e che per tale motivo prende anche il nome di “cultura della crisi”.

Esso si sviluppa negli anni che vanno dal 1880 fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, contestualizzandosi dunque a pieno titolo nel clima dell’Imperialismo che domina nei paesi europei e che segna la storia di questi 50 anni. L’atmosfera è, infatti, quella di una profonda conflittualità economica fra gli stati e di un’ulteriore forte tensione sociale all’interno di essi.

Motivi della nascita del Decadentismo

- Dal punto di vista filosofico, gli ideali decadenti trovano la loro prima radice nella crisi del Positivismo, vale a dire nella perdita di fiducia nella ragione. Il progresso, la scienza, la concretezza, sono tutti valori che vengono ora pesantemente messi in discussione. La conseguenza fondamentale di questi atteggiamenti è la nascita di correnti di pensiero irrazionalistiche, che sviluppano i loro concetti sulla base di un categorico rifiuto della ragione e di tutto ciò che è razionale.

- L’ideale che si viene a creare è quello di una realtà che non si può conoscere con metodi oggettivi: è misteriosa, sfuggente, inquietante, profonda.

- Si sviluppa un categorico rifiuto di tutti i metodi scientifici utilizzati per la conoscenza, operandone la sostituzione con quelli irrazionali prima fra tutti la poesia.

- Fra gli artisti si diffonde un atteggiamento di individualismo esasperato essi vivono una condizione di solitudine, di distacco, di smarrimento dalla realtà, che segna la crisi fra artista e società tipica del Decadentismo. Il poeta può tuttavia manifestare questa condizione in due modi diversi: attraverso l’autoesaltazione, cioè il porsi al di sopra delle persone comuni, ovvero attraverso una condizione di sottomissione e di ripiegamento su se stesso, provando sentimenti di inadeguatezza e di soggezione nei confronti della società.

In Francia il movimento letterario che sviluppa gli aspetti del Decadentismo si chiama Simbolismo, che pone l'accento sugli aspetti della musicalità della lingua, in cui non ha importanza la realtà esterna, ma quella più profonda che solo la poesia riesce a percepire e a rappresentare per mezzo di simboli, colori, avvicinando aspetti che a prima vista sembrano lontani fra loro, ma che in profondità hanno un rapporto profondo (analogie).
I grandi poeti simbolisti sono: Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmè.In Italia sono a pieno titolo poeti decadenti, seppure per aspetti talvolta diversi: Pascoli, D’Annunzio, Gozzano (crepuscolare), Pirandello, Svevo, Ungaretti e Montale.

GABRIELE D’ANNUNZIO

VITA

Gabriele D’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara da una famiglia borghese e agiata, che asseconda fin dall’inizio la sua vivacità e precocità intellettuale. Nel 1881 si trasferisce a Roma, dove conosce gli ambienti più eleganti e vive una vita ricca e piena di scandali e di fatti che gli garantiscono la notorietà, come ad esempio la sua relazione con la grande attrice Eleonora Duse. Nel 1891 si trasferisce a Napoli, dove scopre Nietzsche e comincia a seguirne le opere. Nel 1895 ritorna a Roma, dove viene eletto due anni più tardi deputato per l’estrema destra, ma nel marzo 1900, dopo la repressione del governo Pelloux, passa clamorosamente a sinistra. Nel 1898 si stabilisce in Toscana, dove vivrà nel lusso fino al 1910. Allo scoppio della prima guerra mondiale si ripara a Parigi, dove si schiera a favore dell’intervento antitedesco. Nel 1915 rientra in Italia sotto la veste di uno tra i più fervidi interventisti. Nonostante sia più che cinquantenne, prende servizio al fronte, dando una valutazione estetizzante della guerra così come di ogni altro aspetto della vita. Clamorosa si presenta l’azione promossa di propria iniziativa, subito dopo la fine della guerra, per la riconquista di Fiume e della Dalmazia, assegnate dai trattati di pace alla Jugoslavia. D’Annunzio occupa Fiume nel settembre del 1919, alla testa di un gruppo di Arditi, e tiene la reggenza della città sino al Natale del 1920, quando il governo italiano interviene per la smobilitazione. Lasciata Fiume nel gennaio 1921, si trasferisce in una villa di Gardone Riviera. Essa viene dall’autore stesso trasformata in una casa-museo, sovraccarica di arredi e reliquie, simbolo di tutte le esperienze della vita e dell’arte dannunziana, ammassate in uno spazio in cui domina l’orrore del vuoto e della luce. E’ questo il fastoso, pittoresco e funereo “Vittoriale degli Italiani”. La sua personalità, temuta persino dal Duce per l’attivismo e la fama, viene soffocata tramite il relegato isolamento nel Vittoriale voluto da Mussolini stesso. Stroncato da un’emorragia cerebrale, D’Annunzio muore il 1° marzo 1938.

OPERE

Nel 1882 escono le prime liriche, pubblicate in Canto Novo (O falce di luna calante), un’importante e originale raccolta accettata dal pubblico e critica con grande entusiasmo. Essa contiene 61 componimenti divisi in 5 libri. La 2^ edizione è del 1896, che riduce il numero delle liriche e modifica la struttura complessiva dell’opera.

Il primo romanzo, Il Piacere (Il ritorno di Elena) è del 1889. In quest’opera l’autore esalta vistosamente il mito della sua vita voluttuosa e materiale, rendendo vastissima fin dall’inizio la sua grande fama. La vicenda presenta un esteta aristocratico e colto, Andrea Sperelli, in una Roma splendidamente evocata, diviso tra la passione per l’inafferrabile amante di un tempo, Elena Muti, e il fascino di una donna pura e fedele, Maria Ferres. La vicenda è incentrata sull’attrazione verso le due donne, che tormenta Andrea, giungendo infine ad una conclusione tragica, cioè la costrizione di Maria ad abbandonare la città dopo un ultimo drammatico incontro con Andrea il quale, ormai ossessionato dalle proprie fantasie, si lascia sfuggire il nome della rivale. La chiara rarefazione dell’intreccio e della trama è presentata in quest’opera con uno stile ricco e prezioso, con una predilezione per i termini rari e un accurato studio sintattico che spinge la poesia verso risultati quasi lirici.

Tra il 1890 e il 1893 esce il Poema Paradisiaco (Consolazione), formato da 54 poesie, che può considerarsi l’esatto contrario del Piacere, in quanto lo stile è quello di una ricchissima sensualità e di un recupero dell’innocenza. Con quest’opera D’Annunzio inaugura una nuova moda, con l’attenzione soprattutto alla melodicità e ai temi della bontà e della pietà. Esso presenta l’aspetto malinconico, dimesso, languido, “buono” del grande sperimentatore D’Annunzio. Quest’opera preannuncia a pieno titolo l’avvento del futuro crepuscolarismo.

Le Laudi, formate da Maia, Elettra e Alcione (La pioggia nel pineto; Le stirpi canore) sono pubblicate nel 1903. D’Annunzio esprime in queste opere il suo totale e gioioso abbandono alla vita, la parola perde di artificiosità per trovare una propria musicalità, in un’atmosfera dolce e sensuale in stretto contatto con la natura (panismo).






I ROMANZI DEL SUPERUOMO

Il primo romanzo in cui si comincia a delineare la figura Superuomo è il “Trionfo della morte” (1894), dove non viene ancora proposta compiutamente la nuova figura mitica, ma c’è la ricerca ansiosa quanto frustrata di nuove soluzioni. Il romanzo è incentrato sul rapporto contraddittorio e ambiguo di Giorgio Aurispa con l’amante Ippolita Sanzio, ma su questo tema si fondo si innestano e si sovrappongono altri motivi ed argomenti: il ritorno del protagonista alla sua casa natale in Abruzzo è il pretesto per ampie descrizioni del paesaggio e del lavoro
delle genti d’Abruzzo.
Travagliato dall’oscura malattia interiore che lo svuota delle energie vitali, Giorgio va alla ricerca di un nuovo senso della vita.
Non lo trova né ritornando alle origini della sua stirpe né nel misticismo religioso.
Il suicidio di Giorgio Aurispa è come il sacrificio rituale che libera D’Annunzio dal peso angoscioso delle problematiche negative sino a quel momento affrontate. Soppresso quel personaggio emblematico, quell’ alter ego in cui proietta la parte oscura e malata di sé, lo scrittore si sente pronto ad affrontare un nuovo cammino, a percorrere la strada del superuomo. Per questo vive il rapporto con l’amante come limitazione, come ostacolo: per il suo fascino irresistibile Ippolita Sanzio è sentita come la “nemica”. Solo con la morte Giorgio si libererà da tele condizione: per questo si uccide con Ippolita che stringe a sé, precipitandosi da uno scoglio.
Anticipata nel “Trionfo della morte”, la vera e propria ideologia del superuomo viene tematizzata nell’articolo “La bestia elettiva”, pubblicato sul “Mattino” nel1892, prima di esplodere nelle “Vergini delle rocce” (1895). In questo romanzo D’Annunzio non vuole più proporre un personaggio debole, tormentato, incerto, ma un eroe forte e sicuro. Claudio Cantelmo che va senza esitazioni alla sua meta. Il romanzo, che è stato definito “il manifesto politico del Superuomo”(Salinari), contiene l’esposizione più compiuta delle nuove teorie aristocratiche, reazionarie ed imperialistiche di D’Annunzio.
Superomoni saranno anche i due successivi protagonisti, Stelio Effrena (“Il Fuoco”) e Paolo Tarsis (“Forse che sì forse che no”): il primo in senso eminentemente artistico ( il Salinari propone il romanzo come “manifesto artistico” del superuomo), il secondo in direzione modernistico-tecnologica (Paolo è uno sportman, automobilista, pioniere dell’aviazione).
Nonostante le loro velleità artistiche ed eroiche, i protagonisti dannunziani restano sempre deboli e sconfitti, incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione. La decadenza, il disfacimento, la morte esercitano sempre su di essi, che dovrebbero essere gli eroi della vita e della forza, un’irresistibile attrazione.

Dai personaggi dannunziani protagonisti di tali opere emerge chiaramente che il superuomo è il dominatore di un mondo al di là del bene e del male, che l’istinto è la sola verità, che la morale è una menzogna, che il dominio è l’unica legge, che avvicinandosi alla belva l’uomo supera l’uomo, si accosta all’eroe, e come dunque sia necessario oltrepassare l’umano, cioè andare oltre il cristianesimo che afferma la coscienza del male. Bisogna liberarsi insomma di quell’etica che vieta la lussuria, porre l’arbitrio di poter osare tutto ciò che risuona come piacere. Idee queste che ritroviamo espresse nelle opere del D’Annunzio attraverso lunghe dissertazioni dei suoi personaggi che celano una tremenda aridità interiore, diremo del cuore. Fu questa, come è stato osservato, una via d’uscita del poeta che credette di poter fare della morale eroica il proprio mondo come, per esempio, la mitologia greca fu il mondo di Omero e al dottrina cattolica costituì il mondo di Dante.
La guerra fece del D’Annunzio un eroe, per quanto non si possa negare, d’accordo con gli storici d’oggi, che egli rimase sempre un “avventuriero privilegiato”, estraneo agli orrori putridi e comuni della trincea, ma pronto, a sfidare la morte con la logica singolare del giocatore d’azzardo, come risulta chiarissimo dai suoi taccuini di combattente, sia che confessi che “la vita non ha più pregio poiché non può rischiarla nel più temerario dei giochi” sia che si sorprenda a notare come “tante immagini di voluttà accompagnino uno stato eroico” o lodi “l’amore del destino” in una “carne che domani può essere un pallido sacco d’acqua amara”.
Le sue azioni da grande soldato sono altrettante espressioni di superomismo.
D’Annunzio ricorse al Superuomo per formarsi un senso della vita che sentiva mancargli. Egli non si contentava, come uomo, di essere un sensuale o meglio solo una voce destinata ad esprimere particolarmente la vita del mondo fisico, aveva bisogno di una più alta, più comprensiva, più larga concezione del mondo. Il Superuomo dannunziano sa che il mondo è il suo giardino, di cui egli può cogliere tutti i frutti; i frutti sono proprio fatti apposta per lui, disposti per la soddisfazione del suo infinito desiderio.
La scoperta di Nietzsche costituisce per D’Annunzio la conclusione quasi necessaria di tutta la sua avventura estetica. Si potrebbe persino dire che il suo nietzscheaneismo preesiste, come un fatto istintivo, alla conoscenza del filosofo e delle sue opere. Come ammette del resto lo stesso D’Annunzio, le concordanze con il pensiero nietzscheano derivano “dal fondo della sua natura” e si trovano già in germe nel libro della sua adolescenza. L’esperienza del superuomo dà al D’Annunzio la rivelazione definitiva di sé stesso; infatti a differenza di tanti altri scrittori, egli non pare avere una storia, un lento graduale evolversi verso atteggiamenti spirituali ed artistici sempre più maturi a complessi, pare invece che egli giunga d’un tratto, giovanissimo, alla scoperta di sé, di quel motivo che resterà sempre centrale di tutta la sua opera e della sua vita d’uomo:la figura dell’esteta che verrà inglobata e non sopraffatta da quella del superuomo. Nella prefazione del suo romanzo “ Il ritratto di Dorian Gray”, pubblicato nel 1890, affermava:”Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male: questo è tutto.” Ebbene, per Gabriele D’Annunzio la vita è come un libro, né morale né immorale, scritto bene o scritto male. Il suo ritiene di averlo scritto bene. E’ sostanzialmente questo il suo estetismo.





PERSONALITA’ E TALENTO

D’Annunzio fu per il suo tempo in modello di gusto e di comportamento, influenzò profondamente la vita mondana e aristocratica, La sua personalità raffinata ed egocentrica, il suo gusto per il gesto clamoroso, le sue filosofie di autoesaltazione, ne fanno un uomo di grande carisma e un poeta di grande talento. In lui si scopre il desiderio di vivere e di godere tutte le sensazioni, la sensualità di un artista che sente con gioia e voluttà i profumi, i colori, i suoni, che con la sua immaginazione rende tutto più bello, più entusiasmante, più esageratamente clamoroso. La sua produzione assume un aspetto particolarmente elegante, poiché coglie gli aspetti del mondo con la sensualità e riesce a scomporre questi aspetti in tanti piccoli momenti, godendoli uno ad uno. Le caratteristiche della lingua di D’Annunzio sono la profondità, la musicalità, la spiazzante bellezza. Per lui “il verso è tutto” (il Piacere), può rappresentare tutto, il soprannaturale, l’assoluto, ciò che in altri modi è inesprimibile. E’ in grado di scegliere in ogni momento i termini più musicali, più poetici, le immagini più belle, suggestive ed affascinanti.

L’ESTETISMO E IL TEMA DEL SUPERUOMO

L’estetismo è la corrente letteraria e filosofica che esprime l’atteggiamento tipico dell’artista decadente, che è un soggetto che vive una crisi, un’estraneità al mondo che lo circonda e ai suoi valori. Egli prova un odio ed un disgusto per i valori, li considera mediocri e rispetto ai quali si sente superiore. Il poeta fugge dalla realtà verso un mondo di bellezza raffinata, insolita, preziosa. Tutto questo non solo nell’arte, ma anche nella vita. La vita stessa, cioè, è un’opera d’arte da costruire con raffinatezza e ricercatezza. L’esteta ha il culto del bello fine a se stesso, ritiene i valori estetici primari e riduce in subordine tutti gli altri  “un’azione non dev’essere giusta, ma bella!”. L’eroe decadente si considera eccezionale, speciale, disprezza l’uomo comune e la massa mediocre, costruisce la sua vita come un’opera d’arte attraverso l’artificio, sprezzando la spontaneità. Egli giunge ad un fallimento finale inevitabile.

Il superomismo è la dottrina di Nietzsche secondo la quale il superuomo è il protagonista della storia. Egli è colui che realizzerà un nuovo esemplare di umanità al di là della morale comune, della mediocrità borghese, del bene e del male. Il superuomo è l’espressione della “volontà di potenza”, dell’esaltazione della forza, dello spirito agonistico: non presuppone nessuna pietà per i deboli, i quali sono inevitabilmente destinati a soccombere.

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Le doti del superuomo sono: l’energia, la forza, la volontà di dominio, lo sprezzo del pericolo, la volontà di affermazione, il velleitarismo (=la sproporzione fra gli obiettivi e le forze per raggiungerli, fra la volontà e l’esito finale).

TRILOGIA DANNUNZIANA DEL SUPERUOMO:

“IL TRIONFO DELLA MORTE” : Giorgio Aurista
“LE VERGINI DELLE ROCCE” : Claudio Contelmo
“IL FUOCO” : Stenlio Efflena


FRIEDRICH NIETZSCHE

VITA

Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, vicino Lipsia, nel 1844. Dopo aver frequentato la scuola, si iscrive come studente di teologia all’Università di Bonn, ma l’anno seguente riprende gli studi di filologia a Lipsia. Nel 1869 ottenne la cattedra di filologia classica a Basilea. Nel 1872 esce la Nascita della tragedia, nel quale affronta la questione della classicità della civiltà greca, teorizzando le sue opinioni su spirito apollineo, spirito dionisiaco e loro disposizione nella tragedia classica. Nel 1879 cessa l’attività didattica e si dedica ad una lunga serie di viaggi e soggiorni più o meno prolungati in svariate località soprattutto mediterranee. A partire dal 1883 escono una dietro l’altra le sue più grandi opere: Così parlò Zaratustra, Al di là del bene e del male (1886), la Genealogia della morale (1887). Nel 1889, dopo svariati segni di squilibrio psicofisico, viene ricoverato in una clinica per malattie nervose e muore nel 1900.

IL PENSIERO

Nel suo studio Nietzsche è considerato una specie di profeta, poiché è suo il merito di aver messo in luce i caratteri di profonda crisi della società che interessa i tutti i paesi nella sua contemporaneità e che sfocerà nella Prima Guerra Mondiale. Egli fa uso di un’affinata ragione critica per smantellare le più accreditate dottrine filosofico-scientifiche del tempo e i fondati principi tradizionali: dalla credenza in entità metafisiche all’antropocentrismo, dal mito della ragione a quello della coscienza, dalla fede in Dio alla fede in una scienza neutrale ed oggettiva.
Con il suo ideale di “morte di Dio”, Nietzsche vuole promuovere la liberazione e la valorizzazione dell’uomo in tutte le caratteristiche e gli aspetti che gli sono propri. L’essere umano può e deve credere nella validità dei desideri e degli impulsi che sente nascere dentro di sé, che per la loro natura sono indispensabili per realizzare una vita degna di essere vissuta. Questa emancipazione integrale dell’uomo farà di lui un altro uomo: il cosiddetto Superuomo. Egli è colui che va oltre, oltre l’uomo comune, prigioniero dei valori tradizionali. Egli capovolge la morale tradizionale, trasforma gli imperativi nell’affermazione della propria volontà: da “Io devo” a “Io voglio”, non si lascia lusingare da promesse ultraterrene, ma ama la vita per quello che è ed è fedele alla Terra senza avere il bisogno di crearsi illusioni.
Legata alla teoria del Superuomo si ritrova in Nietzsche anche quella di Volontà di potenza, che rappresenta il principio alla base di ogni esistenza, che spinge ogni essere vivente alla conservazione di sé e all’incremento della propria potenza. Questo ideale non è ridotto ad una semplice esaltazione di se, ma consiste nella cieca fiducia nelle infinite possibilità dell’uomo di inventare nuovi valori. E’ proprio la volontà di potenza che spinge l’uomo ad andare oltre se stesso e a diventare così il Superuomo.
Il concetto di volontà di potenza è poi legato a quello di eterno ritorno. Esso viene definito da Nietzsche il “peso più grande”. Partendo dal presupposto che per sua natura la realtà non ha senso, non ha ordine, né alcun fine da raggiungere e che niente di ciò che accade ha significato, ruolo principale del Superuomo è quello di accettare questa realtà, con la volontà che le cose siano effettivamente così come sono e che si ripetano all’infinito. Il tempo non è una linea con un inizio e una fine, ma è come un cerchio che continuamente si ripropone all’uomo. Il Superuomo deve avere il coraggio e la forza di accettare l’eterno ritorno delle cose, deve vivere ogni momento come se si dovesse ripetere un infinito numero di volte.

L’INTERPRETAZIONE POLITICA DEL SUPERUOMO

Nietzsche è il filosofo della crisi, il fondatore di un modo di pensare nuovo. Egli non fu l’estensore di un vangelo della violenza, ma intese porre le condizioni di sviluppo di una civiltà e di un’idea dell’uomo radicalmente rinnovate.
Il problema della rivalutazione politica dei suoi scritti sta nella ricostruzione sistematica operata dalla sorella Elisabeth e da uno dei suoi discepoli, la quale oltre ad essere ideologicamente discutibile e largamente responsabile delle interpretazioni naziste del pensiero del filosofo, va contro il suo rifiuto netto di ogni sistema filosofico e contro il fascino vivissimo del suo stile frammentario e aforistico.
Il messaggio più profondo dell’opera di Nietzsche deve essere ricercato esclusivamente sul piano filosofico e non su quello politico.
Le strumentalizzazioni e le diverse interpretazioni del nostro secolo non rendono giustizia al filosofo e hanno portato, non alla nascita di una nuova umanità liberata da tutte le autorità umane e divine, ma solo a crimini abominevoli a cui il vero superuomo non si sarebbe mai abbassato.

L’esempio italiano tipico della degenerazione della visione politica del Superuomo è senz’altro quella di Benito Mussolini, il quale, attraverso la sua personalità forte e carismatica, condusse il popolo italiano all’accettazione di una dittatura assoluta senza incontrare grandi resistenze o malcontenti.

COME GABRIELE D’ANNUNZIO FRAINTESE NIETZSCHE

Gabriele D’Annunzio nella sua fase superomistica è profondamente influenzato dal pensiero di Nietzsche tuttavia, molto spesso, banalizza e forza entro un proprio sistema di concezioni le idee del filosofo. Dà molto rilievo al rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari, all’esaltazione dello spirito “dionisiaco”, al vitalismo pieno e libero dai limiti imposti dalla morale tradizionale, al rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, all’esaltazione dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé. Rispetto al pensiero originale di Nietzsche, queste idee assumono una più accentuata coloritura aristocratica, reazionaria e persino imperialistica. Le opere superomistiche di D’Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese del nuovo stato unitario, del trionfo dei principi democratici ed egualitari, del parlamentarismo e dello spirito affaristico e speculativo che contamina il senso della bellezza e il gusto dell’azione eroica. D’Annunzio arriva quindi a vagheggiare l’affermazione di una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra della massa comune attraverso il culto del bello e della vita attiva ed eroica, Il motivo nietzscheano del superuomo è interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi disprezzando le leggi comuni del bene e del male.
Queste élites al di sopra della massa devono spingere per una nuova politica dello Stato italiano, una politica di dominio sul mondo, cerso nuovi destini imperiali come quelli dell’antica Roma.

IL SUPERUOMO INGLOBA IN SE’ L’ESTETA

La figura dannunziana del superuomo é comunque uno sviluppo di quella precedente dell’esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della bellezza è essenziale per l’elevazione della stirpe, ma l’estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà. D’Annunzio non si limita più a vagheggiare la bellezza in una dimensione ideale, ma si impegna per imporre, attraverso il culto della bellezza, il dominio di un élite violenta e raffinata insieme sulla realtà borghese meschina e vile.


LA VISIONE POLITICA DELL’INTELLETTUALE

D’Annunzio applica, in modo tutto personale, le idee di Nietzsche alla situazione politica italiana.
Il mito del superuomo è un tentativo di reagire alle tendenze, in atto nella società capitalistica moderna, ad emarginare e a degradare l’intellettuale; ma è un tentativo che va in direzione opposta rispetto a quella che proponeva il mito dell’esteta, poiché affida all’artista-superuomo una funzione di “vate”, di guida in questa realtà ed anche compiti più pratici, attivi, una missione politica se pur per ora alquanto vaga. E mentre la figura dell’esteta era in netta opposizione rispetto alla realtà dominante, la figura del superuomo, pur con la sua violenta carica antiborghese, offre soluzioni che possono sostanzialmente accordarsi con le tendenze profonde dell’età dell’imperialismo, del militarismo aggressivo, del colonialismo. E poiché l’offerta non gli viene dalla società stessa, egli si autodelega tale ruolo, attribuendosi il compito di profeta di un ordine nuovo: l’artista, proprio mediante la sua attività intellettuale, deve aprire la strada al dominio delle nuove élites, che ponga fine al caos del liberalismo borghese della democrazia, dell’egualitarismo, e di tali élites deve egli stesso entrare a far parte.

IL SUPERUOMO E IL NAZISMO

Il mito del Superuomo, nella prima metà del secolo scorso, non affascina solo l’ ambiente letterario, ma anche quello politico, anche se le questioni di tale ambiente rimangono estranee a Nietzsche: il nazionalsocialismo è per lui un punto di vista troppo angusto. Egli è toccato solo da una questione che è già stata messa in gioco nel suo tempo e particolarmente in Germania: l’antisemitismo. Il suo rifiuto energico, spesso direttamente astioso di questo movimento, che determinò la rottura perfino con l’ unica sorella, le sue numerose conoscenze ebree, ci fanno apparire oggi completamente incomprensibile il fatto che la Germania razzista del 1933 potesse esaltare Nietzsche come “suo” filosofo.
L’interpretazione nazista di Nietzsche è stata facilitata da una singolare vicenda filologica, consistente nel fatto che la sorella Elisabeth Forster-Nietzsche nel desiderio di fare del fratello il teorico di una palingenesi reazionaria dell’umanità, non esitò, dopo essersi impadronita degli inediti, a manipolare i testi del filosofo, pubblicando nel 1906 la “Volontà di potenza” nella quale il pensiero di Nietzsche assunse quella fisionomia anti-umanitaria ed anti-democratica sulla quale farà leva la letteratura nazista.
Nell’ambito del nazionalsocialismo, un interprete del pensiero di Nietzsche è Oehler. Egli vede nel filosofo il momento culminante di tutta l’anima tedesca che nel corso della storia tende nostalgicamente a realizzare il sogno romantico di grandezza di tutto un popolo, che diventa realtà solo grazie a Hitler. Purtroppo Oehler è affascinato dalla figura di Hitler in modo tale che talvolta arriva ad offuscare la stessa figura del filosofo.
Così Hitler viene considerato non solo come uomo d’eccezione per le sue qualità personali, ma soprattutto come uomo del destino, il cui compito sarebbe proprio quello di realizzare la missione storica del popolo tedesco. Hitler diventa la più autentica realizzazione storica del superuomo nietzscheano.
L’interpretazione nazista del filosofo trova una sua giustificazione anche nella critica nietzscheana del popolo tedesco e della Germania: secondo Oehler infatti, egli critica solo la cultura tedesca del suo tempo, poiché la struttura dello stato è molto lontana dal creare ciò che solo il Terzo Reich stava creando; inoltre il filosofo si pone contro la democrazia perché essa rivela un triste livellamento dei più autentici valori della persona. La democrazia rappresenta la perdita della fede nei confronti dell’uomo grande. Di conseguenza tale forma di Stato porta al nichilismo, la cui espressione storica più oggettiva sarebbe data dal marxismo.
Pertanto nella sua lotta contro il marxismo Hitler può considerarsi il superuomo capace di superare il fenomeno culturale del nichilismo.
Molto nota è anche un’altra interpretazione del pensiero nietzscheano, fornita da Walther Spethmann, e che considera il superuomo non soltanto sotto l’aspetto politico, ma addirittura sotto l’aspetto famigerato dell’igiene della razza. Spethmann difende Nietzsche dalle accuse di follia e di ateismo affermando che se il filosofo si mostra critico nei confronti della Chisa cristiana lo fa perché vede in essa uno strumento politico, dato che la Chiesa pretende di ridurre tutti gli uomini allo stesso livello di eguaglianza.La dottrina del superuomo e quindi la distinzione tra signori e schiavi vine letta alla luce della dottrina del nazionalsocialismo come eliminazione dei malati e dei deboli per la formazione di una razza superiore che deve dominare su altri popoli.Anzi Spethmann si rifà esplicitamente a Hitler come a quello cui è dato il compito di formare una razza pura che deve coincidere con quella autenticamente germanica.
Il nazismo, enfatizzando l’approccio indubbiamente aristocratico di nietzsche, vi ha visto una giustificazione della tirannide. La proposta del superuomo non sarebbe rivolta a tutti (a creare un nuovo tipo di umanità) ma solo ai più forti, che devono quindi porsi al comando della società trasformandola in senso gerarchico ed autoritario anche con l’uso della violenza. Tutte queste riflessioni essenzialmente di natura politica sulla dimensione del superuomo nietzscheano mostrano come l’ambiguità e talvolta la scarsa chiarezza della concezione del filosofo abbiano condotto gli esponenti dell’ideologia nazista ad usufruire del suo pensiero, in realtà esente da ogni carattere politico per giustificare una cultura che prevede come fine ultimo la conquista del potere assoluto e l’ideologia di un uomo: Hitler.


NIETZSCHE NAZISTA?

E’ chiara l’utilizzazione che il nazismo ha fatto del pensatore tedesco. Oggi, anche alla luce di lettere personali vergate dal pugno di Nietzsche, questa strumentalizzazione è stata definitiva mente smascherata. Tuttavia, la tendenza interpretativa attuale a ridurre il nazismo di Nietzsche ad un colossale equivoco non è esente da semplicismo.Vero è, infatti, che egli è estraneo ad ogni suggestione “nazionale” e “sociale” e che basta leggere le sue osservazioni sulla questione ebraica e in contrapposto su ciò che è tedesco per scorgere l’abisso che separa Nietzsche dai suoi ultimi proclamatori. Tuttavia non va neppure nascosto “il fatto evidente che Nietzsche sia stato un fermento di questo movimento e l’abbia determinato ideologicamente in modo decisivo. Il tentativo di scaricare Nietzsche di questa colpa spirituale oppure di farlo valere contro ciò che egli effettivamente ha determinato è altrettanto privo di fondamento quanto lo sforzo contrario di farne l’avvocato di una causa di cui egli è giudica. Entrambi i tentativi cadono di fronte alla visione storica, per cui coloro che preparano la via hanno sempre indicato ad altri la strada che essi stessi non percorsero”.

LE FORZATE ATTUAZIONI POLITICHE DEL SUPEROMISMO: IL FASCISMO E IL NAZISMO

Nel difficile contesto storico-politico del dopoguerra Benito Mussolini, più proficuamente del poeta-soldato, raccolse i consensi dei giovani, dei rivoluzionari insoddisfatti, dei reduci attorno ai fasci di combattimento che, con le squadre d’azione, diventarono il braccio armato degli agrari contro le organizzazioni sindacali e i partiti di sinistra. Dopo i deludenti risultati delle elezioni del ’19, Mussolini orientò in senso rivoluzionario il suo programma, fondò il partito fascista e affiancò all’azione violenta degli squadristi la faccia della legalità politica. Con la marcia su Roma del ’22, passò, infine, all’azione e ricevette l’incarico dal re di costruire il governo. Accettò, quindi, il compromesso con i poteri tradizionali (Monarchia e Chiesa) e durante il suo ministero attuò importanti riforme preparando la trasformazione in senso autoritario dello stato. L’unico momento di grave crisi per il fascismo fu il delitto Matteotti (1924) per la reazione che questo determinò nei partiti (secessione dell’Aventino) e nel Paese.
Mussolini reagì drasticamente e nel ’25 istaurò il Parlamento. Le leggi promulgate dal ’25 al ’28 eliminarono ogni residuo di libertà individuale, politica e sindacale e il nuovo codice penale (Codice Rocco) con l’istituzione del tribunale speciale e polizia politica portò alle repressione degli oppositori e al fenomeno degli esuli che il fascismo chiamò “fuoriusciti”
Nel contempo l’intervento dello Stato nell’educazione e nella propaganda organizzativa portò al consenso delle masse, ottenuto con i mezzi di comunicazione non tradizionali. Vennero usate in modo massiccio la grafica e gli slogan. Il disegno della grafica politica, di stampo futurista, realistico, presentava serie ossessive del volto del Duce e immagini dell’italiano fascista atletico, in pose eroiche. La radio e il cinema furono innovazioni fondamentali per la propaganda fascista. I discorsi del Duce erano trasmessi dappertutto, come la canzonette, ottimo mezzo di evasione. I cinegiornali precedevano ogni spettacolo cinematografico.
Attraverso le parate militari e l’ inquadramento paramilitare dei giovani si esercitava un controllo del tempo libero che perdurava anche in età adulta. Nel tessuto sociale era presente anche la Chiesa con la quale, dopo il concordato (1929), si aprì il contrasto sulla presenza dello stato nel tempo libero e nell’educazione dei giovani.
La politica verso la famiglia era volta a premiare la prolificità, le nubili e gli scapoli venivano emarginati e il ruolo della donna era solo domestico, lontano dalle attività e dagli studi.
Diversi fattori di natura economica e di prestigio spinsero il fascismo al rilancio della conquista coloniale. Questa scelta portò anche ad un avvicinamento alla Germania e il legamo si rafforzò con la guerra di Spagna (1936), le leggi raziali (1938) e il Patto d’acciaio (1939).

In Germania il regime nazista si affermò sulla scia di un altro capo carismatico che nel 1920 fondò il Partito Nazionalsocialista dei lavoratori. Originariamente il partito nacque come forza di opposizione al governo in vigore e trovo largo consenso tra le masse dei disoccupati tedeschi, spesso oppressi da ricchi usurai ebrei. Fu proprio disquisendo attorno a questa situazione che si sviluppò la teoria della razza ariana destinata a dominare il mondo.
Dopo un primo tentativo di insurrezione andando a vuoto, il nazionalsocialismo abbandonò i metodi rivoluzionari per mettersi sul terreno della più formale legalità attraverso la riorganizzazione del partito secondo modi simili a quelli militari. Divenuto in tal modo il più forte partito tedesco, accedeva al potere il 30 gennaio 1933 e Hitler assumeva la carica di cancelliere del Reich.
Quando Hitler riunì nella propria persona le funzioni di capo del governo e di capo dello Stato, permise al nazionalsocialismo si attribuirsi un potere limitato. Venne immediatamente iniziata la sistematica soppressione delle libertà costituzionali, vennero aboliti i partiti.
La dittatura del nazionalsocialismo assunse forme spietate con l’instaurazione di un clima di terrore mediante la milizia delle SS, la polizia segreta di stato o Gestapo e i campi di concentramento.
La Polonia fu la prima nazione a essere invasa; dopo gli ebrei infatti, i polacchi erano i più odiati da Hitler. Durante l’invasione del settembre 1939, gli eserciti avevano ordine di attuare la politica di Hitler per procurare il Lebensraum, lo spazio vitale per il popolo tedesco. Hitler pertanto autorizzò le sue truppe ad uccidere senza pietà o compassione ogni uomo, donna e bambino di discendenza o lingua polacca. Pertanto l’Olocausto non aveva come obbiettivo solo gli ebrei polacchi:aveva per obbiettivo tutti i polacchi.
“Anche se i campi di concentramento non erano il solo modo di eliminare ciò che i nazisti consideravano razze subumane e inferiori; squadre di sterminio seguivano l’esercito invasore e il loro unico obbiettivo era l’uccisione in massa degli ebrei…Seguendo da vicino la linea del fronte avanzante così che pochi potessero sfuggire alla loro rete, nei primi sei mesi della campagna di Einsatzgruppen uccisero brutalmente con armi da fuoco, baionette, fuoco, torture, bastonate o seppellendoli vivi, quasi mezzo milione di ebrei”. (Hitler’s Samurai-The Waffen-SS in action di Bruce Quarrie). Il vero orrore, le cui dimensioni sono incontenibili per un normale intelletto umano, si consumò proprio lì. Torture indicibili, le più disparate, psicologiche e fisiche, torture che spesso portavano ad una morte delle più orribili, fra atroci sofferenze.
Infatti, nei campi di concentramento, si poteva morire in diversi modi, per fame, malattia, una pallottola nella nuca, camera a gas, percosse, impiccagione, decapitazione e affogamento. Quello dell’affogamento, era un metodo particolarmente raffinato. Lo scrittore Terrence Des Pres spiega:”Il fatto è che i detenuti erano sistematicamente sottoposti a sozzure. Erano il bersaglio deliberato del lancio di escrementi…I detenuti nei campi nazisti affogavano lentamente tra i propri rifiuti, e morire per via degli escrementi era una cosa comune. A Buchenwald, per esempio, le latrine consistevano di fosse aperte lunghe otto metri, profonde e larghe quattro metri….Queste stesse fosse, sempre traboccanti, venivano svuotate di notte da detenuti che non avevano altro per farlo che piccoli secchi”. Un testimone oculare racconta: “Il posto era scivoloso e non illuminato.Dei trenta uomini assegnati a questo lavoro, dieci in media cadevano in fossa durante il turno di notte. Agli altri non era consentito tirar fuori i malcapitati. Quando il lavoro era stato ultimato e la fossa era vuota, allora e solo allora avevano il permesso di rimuovere i cadaveri”. Non ci dilunghiamo oltre, si potrebbero citare molte altre testimonianze per dimostrare che i nazisti attuarono sempre più la politica dello sterminio man mano che venivano occupati altri paesi europei. La bibliografia su questo argomento è senza fine e le dichiarazioni dei testimoni oculari, unite alla documentazione fotografica, sono terrificanti.
Arrivati a questo punto, si comprende bene l’esigenza di non dimenticare e di testimoniare questi terribili fatti alle generazioni future, affinché servano loro da dimostrazione di come sia facile perdere il lume della ragione, infervorati dalla pazzia anche di un solo uomo. Per dirla con parole di Primo Levi, sopravvissuto ai campi di sterminio e morto suicida a causa delle profonde ferite psicologiche mai rimarginatesi:

Voi che siete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì e per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Se questo è un uomo- Primo Levi


LO STATUTO SOTTO IL REGIME FASCISTA

Inizialmente, per poter ottenere più agevolmente la fiducia delle forze moderate a cattoliche, Mussolini ritenne opportuno inserire nell’esecutivo sia liberali che rappresentanti del Partito Popolare, oltre ad alcuni militari. Ciò gli consentiva di essere sorretto dalla legittimazione della maggioranza dei rappresentanti del popolo. Nel periodo di transizione che seguì l’ascesa di Mussolini al potere, si andò sempre più consolidando il rilievo conferito al Governo, e in particolare al suo presidente, rispetto agli altri organi dello Stato.
In questa prima fase l’obiettivo fondamentale di Mussolini fu quello della “fascistizzazione” del Parlamento. A tale scopo, nel 1923, il Governo presentò alle Camere una legge, la cosiddetta Legge Acerbo, che prevedeva un premio di maggioranza alla lista che avesse riportato, nelle elezioni politiche, la maggioranza relativa dei suffragi. Il premio consisteva nell’attribuzione a tale lista dei seggi della Camera elettiva.
Questo, unito alle violenze ad alle intimidazioni della campagna elettorale, gli permise la grande vittoria nel 1924, in quanto il listone ottenne il 65% circa dei voti.
Oltre alla Legge Acerbo, Mussolini fece approvare una serie di provvedimenti legislativi finalizzati all’edificazione definitiva del totalitarismo. Mediante questi provvedimenti, le cosiddette Leggi Fascistissime, si gettarono infatti le fondamenta dello stato fascista.
- Il presidente del Consiglio assunse il titolo di “Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato”, assumendo una posizione di preminenza su gli altri ministri;
- Fu disposto che il capo del Governo fosse nominato e revocato direttamente dal re, togliendo in tal modo il potere di controllo del parlamento sul Governo;
- Al Governo fu data ampia facoltà di emanare norme aventi lo stesso vigore di quelle emanate dal Parlamento;
- Fu creato il Gran Consiglio del Fascismo, che andò via via eliminando il ruolo del Governo;
- Fu istituito il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, con il compito di giudicare diritti politici;
- Furono create le Corporazioni;
- Furono fortemente limitate o abolite alcune fondamentali libertà: di riunione, di associazione, di opinione.
Per effetto di questi provvedimenti nel 1927 l’Italia era stata definitivamente trasformata in Stato totalitario.

Una delle leggi fascistissime che maggiormente aveva contribuito alla centralizzazione del ruolo del Governo fu quella dell’attribuzione a tale organo della facoltà di emanazione di norme (decreti legge e decreti legislativi) aventi lo stesso potere di quelle emanate dal Parlamento.

L’ ATTIVITA’ NORMATIVA DEL GOVERNO

Per ragioni di giustizia legislativa la Costituzione ha previsto oggi la possibilità, da parte del Governo, di emanare atti legislativi aventi lo stesso vigore delle leggi emanate dal Parlamento, ma esse sono leggi sostanziali e materiali, ma non formali, poiché non sono espressione dell’organo legislativo e non vengono approvate nella forma ordinariamente prevista dalla Costituzione.
Tali atti sono:

- I decreti legislativi;
- I decreti legge.

Con i decreti legislativi il Parlamento ha il potere di conferire al Governo la competenza ad emanare atti materialmente legislativi, aventi forza pari alla legge formale. L’istituto della delegazione legislativa consiste propriamente in un trasferimento dell’esercizio della potestà legislativa dalle Camere al Governo. Destinatario della delegazione è il Consiglio dei Ministri, non potendosi ammettere delegazione legislativa a singoli ministri o al presidente del Consiglio.
La legge con cui le Camere autorizzano il Governo ad emanare provvedimenti con forza di legge formale è definita legge delega, che deve:
essere emanata con il procedimento normale;
contenere un limite temporale;
indicare un limite di materia;
contenere un limite programmatico.

Il decreto legislativo è l’atto materiale con cui il Governo, su delega del Parlamento, provvede a disciplinare una data materia o parte di essa. Esso viene predisposto dal ministro competente e deliberato dal Consiglio dei Ministri. Quindi viene emanato con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il ricorso a decreti legge costituisce invece un’auto-assunzione di potestà legislativa, giustificata da specifiche ragioni di necessità e di urgenza. La Costituzione richiama, come immancabili presupposti all’emanazione del decreto legge, i requisiti della necessità e dell’urgenza del provvedimento da adottare. L’atto governativo deve essere indispensabile per lo svolgimento degli obiettivi programmati, cioè irrinunciabile, inoltre deve essere urgente, tale da non potersi far luogo alla predisposizione di un disegno di legge.
La stessa normativa ha anche disposto che è inammissibile il ricorso allo strumento del decreto legge:
per conferire deleghe legislative;
nelle materie per le quali la Costituzione prevede l’adozione delle procedura normale di approvazione delle leggi (Leggi costituzionali;Leggi di approvazione del Bilancio; Leggi tributarie);
per riformulare decreti legge già respinti in sede di conversione.
Dopo essere stato discusso e approvato dal Consiglio dei ministri, il decreto legge deve essere firmato dal Presidente della Repubblica e successivamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entra immediatamente in vigore.

La Costituzione prescrive che il decreto legge emanato dal Governo debba essere presentato il giorno stesso alle Camere per la conversione. Qualora il decreto legge non sia convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, esso decade, perdendo efficacia fin dall’inizio.

L’ampio e abusato utilizzo della pratica della decretazione d’urgenza (decreti legge) da parte del Governo sotto il regime fascista condusse al sostanziale esautoramento delle Camere, le quali finirono per svolgere un puro ruolo notarile nei confronti dell’esecutivo, ratificando, attraverso la conversione dei decreti legge, le scelte governative senza possibilità di modificare, o comunque contrastare, l’indirizzo politico assunto da Mussolini quale Presidente del Consiglio.

Attraverso l’assunzione della totale autorità politica all’interno del paese, egli aveva creato nell’ambito dell’ideologia fascista l’ideale di un’Italia forte e imbattibile in tutti i campi: politico, economico e sociale.
Il regime idealizzava in particolare il mito di un paese autosufficiente, che fu realizzata attraverso la svolta protezionistica che Mussolini chiamò autarchia. Questo ideale aveva lo scopo di ridurre al minimo le importazioni, favorendo le industrie nazionali, soprattutto belliche, e creare un modello di Stato Forte nel quale veniva esaltato, primo fra tutti, l’ideale di nazionalismo.




L’ITALIA VERSO LA GUERRA

L’ideologia nazi-fascista fu un fertile terreno per fare immaginare alle popolazioni dei rispettivi stati, un nuovo ordine internazionale mirato all’espansione territoriale ed all’asservimento degli altri popoli.
L’Italia fascista, pur consapevole della propria impreparazione militare e della propria debolezza economica, in particolar modo se rapportate alle prevedibili avventure militari che l’aggressività tedesca faceva prevedere, si legava sempre più alla Germania nazista spinta da diversi motivi:
-Le affinità ideologiche tra fascismo e nazismo;
-la necessità dell’Italia di uscire dall’isolamento diplomatico nel quale era precipitata dopo la guerra d’Etiopia;
-il desiderio di ricavare vantaggi dall’alleanza con uno stato militarmente forte.
Nel marzo del 1939, Hitler occupò militarmente la Cecoslovacchia; in aprile l’Italia, attuando una politica analoga a quella tedesca, occupò l’Albania; il 22 maggio, Italia e Germania stipularono il “Patto d’Acciaio”; il primo settembre 1939 le truppe tedesche entrano in Polonia; il 3 settembre Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania.Inizia così la seconda guerra mondiale e, nel successivo mese di giugno, i tedeschi avevano gia occupato buona parte dell’Europa del nord.

L’INIZIO DELLA GUERRA

Il 10 giugno 1940 anche l’Italia entrò in guerra contro Francia ed Inghilterra per partecipare da vincitrice alle trattative di pace dopo i travolgenti successi tedeschi.
Dopo due settimane la Francia, allo stremo, accettò le condizioni di pace di tedeschi ed italiani ed il nord del paese diventò territorio d’occupazione tedesca.
Sconfitta la Francia, Hitler dedicò tutte le risorse dell’apparato bellico tedesco contro l’Inghilterra, ma la sua azione, però, si risolse in un insuccesso.
Il 27 settembre 1940 Germania, Italia e Giappone stipularono il “Patto Tripartito”; nell’ottobre dello stesso anno, Mussolini decise di attaccare la Grecia, ma l’impresa si rivelò fallimentare e nella controffensiva i greci penetrarono in territorio albanese, militarmente occupato dall’Italia.
Anche in Africa l’Italia, dopo qualche iniziale successo, dovette subire l’iniziativa militare nemica.
Nell’aprile 1941, in Africa, a sostegno delle truppe italiane, intervenne sul fronte libico un corpo di spedizione tedesco (Africa Korps), comandato dal Generale Rommel e nello stesso periodo anche la Grecia fu conquistata dalle truppe tedesche e italiane.
Le sorti della guerra apparivano nettamente favorevoli alle potenze dell’asse che ritenettero di poter attaccare ed occupare l’Unione Sovietica, con la quale nel 1939 la Germania aveva firmato un patto di non aggressione.
L’avanzata fu rapidissima e travolse l’esercito sovietico, che, però, riuscì a riorganizzarsi e a resistere nella difesa di Mosca e delle principali città industriali.
Con la tecnica della guerriglia e della “terra bruciata”, quasi ad imitazione di ciò che avvenne durante la campagna napoleonica in Russia, l’esercito sovietico riuscì ad infliggere perdite agli invasori ed a riportare una decisiva vittoria nella battaglia di Stalingrado.
Il 7 dicembre 1941, i giapponesi attaccarono Pearl Harbour, distruggendo la flotta americana nel Pacifico.
Gli Stati Uniti reagirono entrando in guerra con tutto il loro potenziale militare ed economico al fianco dell’Inghilterra, con la quale nell’agosto del 1941 aveva firmato la “Carta Atlantica”.
La supremazia militare degli stati del Patto Tripartito, cominciò a venir meno.
Dal fronte africano a quello russo iniziarono le rese.
La dittatura nazi-fascista aveva suscitato ostilità in tutti i paesi occupati e contro di essi sorsero i movimenti di resistenza.
Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia.

L’ARMISTIZIO

Il 25 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo mise in minoranza Mussolini; il giorno successivo il re lo fece arrestare ed affidò al maresciallo Badoglio l’incarico di formare il governo.
Crollando il fascismo, gli italiani pensarono che la guerra fosse finita, invece, Badoglio dichiarò che la guerra sarebbe continuata al fianco della Germania.
Il 3 settembre 1943, in Sicilia, l’Italia firmò segretamente l’armistizio con gli anglo-americani.
L’ 8 settembre Badoglio diede l’annuncio della firma dell’armistizio ma non fornì chiare direttive all’esercito che fu lasciato allo sbando e cominciò a disgregarsi.
Molti soldati italiani vennero catturati dai tedeschi e mandati nei campi di concentramento, altri si unirono alle organizzazioni della resistenza, mentre alcuni reparti, come quelli dislocati nelle isole greche furono massacrati.


L’ECCIDIO DI CEFALONIA

E, fu proprio nell’Isola di Cefalonia, che la divisione “Acqui” scrisse la pagina più nobile dell’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale. Questo “privilegio” costò, però, 9646 morti, di cui oltre 1300 caduti durante gli accaniti combattimenti che si svilupparono in tutta l’isola, oltre 5000 passati per le armi o fucilati alle spalle dopo la resa e altri 3000 circa, fatti prigionieri, scomparvero in mare a bordo di tre navi che urtarono alcune mine, disseminate in acqua durante le battaglie.
L’unità era agli ordini del Generale Antonio Gandin, che da Cefalonia aveva il comando dell’intera divisione, mentre a Corfù erano di stanza il colonnello Lusignani ed il suo 17° fanteria.
La Acqui si trovò, l’ 8 settembre, con viveri per novanta giorni e munizioni per trenta.
Gandin, veneto, conosceva perfettamente la lingua tedesca ed i tedeschi (con i quali aveva avuto rapporti cordiali); dopo l’armistizio si era dimostrato subito propenso alla cessione delle armi ai “nuovi nemici”, adeguandosi all’ordine del Generale in Grecia Vecchierelli. Poi, però, probabilmente costretto con le armi da gruppi di ufficiali e soldati della sua divisione, intraprese la linea ferma e pericolosa della non cessione delle armi, rivelatasi in seguito sbagliata, anche se segretamente continuò a negoziare con i tedeschi per cercare di giungere ad una resa onorevole e sicura.
Le trattative continuarono fino al giorno 12 settembre, quando i tedeschi proposero a Gandin tre alternative: collaborazione, lotta o consegna delle armi. Consultatosi con i sette cappellani, si orientò per la terza ipotesi. I diecimila soldati, però, diversamente dalla quasi totalità dell’esercito italiano, avevano una forte volontà di resistenza, forse dovuta alla convivenza forzata con i tedeschi su di un isola così piccola, forse al fatto che quasi tutti non avevano mai combattuto.
Gli italiani sapevano di disporre di una netta superiorità numerica, circa 11000 contro meno di 2000 tedeschi e contavano sulla vicinanza di Brindisi, dove era già installato il nuovo governo badogliano.
Purtroppo, nella disorganizzazione e nello sbandamento generale, Brindisi e Cefalonia sembravano avere tra loro distanze siderali; al contrario i tedeschi, avevano trasferito molte armi pesanti dalla Grecia all’isola ionica mentre erano ancora in atto le negoziazioni.
Quando ancora si poteva sperare in un epilogo ragionato della vicenda, ecco che accadde il misfatto: all’alba del 13 settembre il capitano Renzo Apollonio, un triestino intrepido ed impulsivo, che dall’inizio si era schierato per la lotta ai tedeschi, vedendo due grossi puntoni da sbarco doppiare capo San Teodoro, ordinò alle sue batterie di aprire il fuoco.
Cominciò così la battaglia.
Da Cefalonia partirono subito per Brindisi messaggi radio che invocavano aiuto. Li ricevette, al comando della Marina, il contrammiraglio Galati, uomo di carattere ed amico di Gandin. Galati prese due torpediniere, la Sirio e la Clio, le caricò di medicinali, di pezzi antiaerei, di munizioni e fece rotta per Cefalonia. Poi gli venne data via radio la notizia, infondata, che l’unico approdo notturno disponibile a Cefalonia, era controllato dai tedeschi. Decise così di far rotta verso la più vicina Corfù, dove pure si combatteva; nel frattempo da Taranto, l’ammiraglio inglese Peters dispose (altra prova della cecità alleata) che le due torpediniere rientrassero, avendo salpato le ancore senza l’autorizzazione dei vincitori.
I combattimenti durarono fino al 22 settembre, con pesanti interventi degli Stukas sulle posizioni italiane. Gli Stukas (Junkers 87) furono la chiave della svolta a favore dei tedeschi.
Il 24 settembre Gandin fu catturato e fucilato nella schiena: prima di morire buttò a terra con sdegno la croce di ferro che Keitel gli aveva concesso. La strage fu orrenda.
In una scuola 600 soldati e ufficiali vennero fucilati a raffiche di mitragliatrice, 360 ufficiali furono giustiziati a gruppetti.
Cinquemila furono massacrati dalla vendetta tedesca.
Il 25 settembre si arrese anche il presidio di Corfù, che nella fase iniziale degli scontri aveva catturato 400 prigionieri tedeschi.
Questi fatti ebbero numerosi strascichi individuali, provocarono episodi tragici e grotteschi e ,nonostante vari episodi di eroismo e d’orgoglio, la condizione generale per i soldati italiani fu di sofferenza e di umiliazione.
L’eccidio di Cefalonia fu argomento di numerosi processi, da quello di Norimberga ad altri che, anche se svolti in patria, furono tutti chiusi per mancanza di prove o catalogati come “non importanti”.
Eppure, non mi sembra che manchino le testimonianze, probabilmente qualcuno ha tenuto nascosto qualche fatto che si svolse in quel settembre 1943.
Certo è che molti dei familiari delle vittime, come si può notare visitando i siti internet dedicati, avrebbero almeno voluto, visti i risultati giuridici, che il sacrificio di questi nostri connazionali, quasi tutti dai 18 ai 22 anni, avesse avuto maggiore rilevanza presso l’opinione pubblica e le autorità.
Tuttavia, la recente visita del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sul suolo cefalleno e la commemorazione in occasione della festa delle forze armate, lo scorso 4 novembre, ha contribuito a rinnovarne il ricordo.

Il dislocamento delle truppe sull’isola nei giorni 8 e 15 settembre 1943

“1984”, di GEORGE ORWELL

Orwell is a distopian author and “1984” is his last book. The title reveres the last two numbers of its year of composition (1948) and it let us understand that Orwell, describing future, wanted to attack his society. In fact Nineteen Eighty-Four became Orwell’s last book, also in a figurative sense: it was the conclusion of olmost everything that Orwell was written criticising the orthodox Left and from when he went to Spain for the civil war.
In Nineteen Eighty-Four Orwell created a totalitarian sistem, Oceania, that includes North America and Englend, with its own history and inner mechanism.
At the top of Oceania’s hierarchy is Big Brother , who is infallible and all-powerful.
“Every success, every achievement, every victory, every scientific discovery, all knowledge, all wisdom, all happiness, all virtue, are held to issue directly from his leadership and ispiration.”
No one has ever senn Big Brother; he is a face on posters, a voice on the telescreen. Big Brother is the guise in which the Party has chosen to apper to the world. Big Brother is somebody to whom you direct your love, fear ane affection, as these are feelings more easily felt towards a person than an organisation.

In the first part we see the main character, Wiston Smith, in the context of his oppressive world. He knows a girl, Julia, and they fall in love. After a period of happyness, Wiston is imprisoned and tortured by the Though Police because of his love and their ideas against. The book finished with the loss of his intellectual integrity.

The regime of Oceania has several methods of controlling the population.
1.Agents from the Thought Police are everywhere, removing those individuals who might become dangerous for the party and in all houses are telescreens capable of receiving as well as transmitting so that the occupants are under cinstant control/surveillance.
2.Every day there is the Two Minutes Hate. People gather in front of the telescreen and watch a program that makes them screem and shout with hatred. To the book’s protagonist, Winston Smith, the terrible thing is not so much that you are forced to pertecipate but that it is impossible not to get carried away. The contest change every day but the main character of the program is always Emmanuel Goldstein.
“Goldstein was the renegade and backslider who once had been one of the leading figures of the Party, almost on a level with Big Brother himself, and then had engaged in counterrevolutionary activities, had been condemned to death, and had mysteriously escaped and disappeared. All subsequent crimes against the Party, all treacheires, acts of sabotage, heresies, deviations, sprang directly out of his teaching”.
At the end of Nineteen Eighty-Four it turns uot that Goldstein is the invention of the Party. He is used as a scapegoat to divert discontent and for exposing rebels like Winston.

Apart from the mentioned concrete forms of control the Party also employs a more subtle form that is harder to fighte against because it is aimed at the mind.
1.Moreover, the enitire system is based on falsification of history – for two purposes. One is to show that Party is infallible and all the information wrong in some connection or other are changed.
(The falsification of history takes place in the Ministry of Truth where Winston works. of course he knows what he is really doing, but that does not worry him because so many changes have already been made that he is just replacing one lie with another.)
the second purpose is to destroy/eradicate memory from the mind of people. The only reason why people put up with their miserable conditions is that they have been told that it was much worse before the revolution. And as no correct information about the past exist, nobody knows if it is true. Perhaps it really was worse before, and then you shouldn’t complain.
1.When it is necessary to menipulate with history and own memory it is equally necessary to
Forget that you have done so. This is accomplished with a mental technique, which is called doublethink.
“To know and not to know, to be conscious of complete truthfulness while telling carefully constructed lies, to hold simultaneously two opinions which cancelled out, knowing them to contradictory and believing in both of them, to use logic against logic, to repudiate morality while laying claim to it, to believe that democracy was impossible and that the Party was the guardian of democracy, to forget whatever was necessary to forget, then draw it back into memory again at the moment when it was nedeed, and then promptly to forget it again: and above all, to apply the same process to the process itself. That was the ultimate subtlety:
consciously to induce unconsciousness, and then, once again, to became unconscious to the act to hypnosisyou had just performed. Even to understand the word ‘doublethink’ involved the use of ‘doublethink’.
Newspeak is the official language of Oceania and its purpose is to fulfil the ideology. Newspeak consists of abbreviations, (Orwell writes in his Appendix to Nineteen Eighty-Four on Newspeak that already early in the twentieth century abbreviations were part of political language.
It was especially widespread in totalitarian countries and organisations. As examples he mentions Nazi, Gestapo, Komintern, Inprecor, Agitprop. From a totalitarian viewpoint the advantage of abbreviations like these is that their meaning is limited and altered so that all associations are removed.). The purpose of Mewspeak it is to make all other ways of thinking impossible and thus remove all heretical thoughts.
“Don’t you see that the whole aim of Newspeak is to narrow the range of thought? In the end we shall make thoughtcrime literally impossible, because there will be no words in which to express it. Every concept that can ever be needed will be expressed by exactly one word, with its meaning rigidly defined and its subsidiary meanings rubbed out and forgotten. Every year fewer and fewer words, and the range of consciousness always a little smaller. Even now, of course, there’s no reason or excuse to committing thoughtcrime.
It’s merely a question of self-discipline, reality-control. But in the end there won’t be any need even for that. In fact there will be no thought, as we understand it now. Orthodoxy means not thinking – not needed to think. Orthodoxy is unconsciousness.”

Oceania is the result of a socialist revolution; it is a continuation of Animal Farm.
Because of the obvious anti-communism in Nineteen Eighty-Four, the book was a great success in the USA where McCartyism had just reared its head. It was overlooked, however, that Orwell in the book says that all ideologies in the mid-twentieth century were authoritarian. Because Nineteen Eighty-Four was misinterpreted and in some cases misused, Orwell wrote in 1949:
“My recente novel is not intended as an attack on Socialism or on the British Labur Party (of which I am a supporter) but as a show-up of the perversions to which a centralized economy is liable and which have already been partly realized in communism and Fascism.
I do not believe that the kind of society I describe neccessarily will arrive, but I believe (allowing of course for the fact that the book is a satire) that something resembling it could arrive. I believe also that totalitarian ideas have taken root in the minds of intellectuals everywhere, and I tried to draw these ideas out to their logical consequences.”

BIBLIOGRAFIA

“Dal testo alla storia dalla storia al testo”
G. Baldi, S. Giusto, M. Razzetti, G. Zaccaria
Ed Paravia

“Storia e antologia della filosofia”
G. Cambiano, M. Mori
Ed Laterza

“Storia contemporanea”
C. Capra, G. Chittolini, F. Della Peruta
Ed Le Monnier

“Civiltà e storia”
F. Catalano
Ed G.D’Anna

“La pedagogia e i suoi problemi nella storia del pensiero”
A. Baroni
Ed La Scuola

“Only Connect”

“Italiani dovete morire”
A.Caruso
Ed Mondolibri

“Storia d’ Italia”
I. Montanelli
Ed Fabbri

“La vera storia sull’eccidio di Cefalonia”
M. Filippini
Ed Grafica MA.RO srl
 
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